| Qualche giorno fà, scrissi direttamente al Sig. Amorelli, chiedendo se è possibile riuscire a riconoscere una radica durante al fumata, sembra di SI. Questa la sua risposta;
Egregio Sig. Stefano la ringrazio per i quesiti posti ai quali proverò a rispondere dal punto di vista tecnico, poi toccherà a Lei giudicare se confermare, smentire o approfondire le affermazioni dell’utente del forum cui fa riferimento. Partiamo dalla radica.
1) Utilizziamo quasi esclusivamente il ciocco di erica sicula, raccolto nei monti Nebrodi - Peloritani da cioccaioli, figli e nipoti a loro volta di cioccaioli che svolgono da sempre questo lavoro in un territorio loro assegnato dalla Forestale ad uso pascolo. Un’erica per sviluppare un ciocco “significativo” deve avere 30 - 40 anni e quelli più belli crescono misteriosamente la dove si arrampicano solo le capre!! E’ un preambolo per dire che il mondo che gravita attorno alle pipe è veramente particolare: se vi capita di venire in Sicilia, vi faccio parlare con i cioccaioli che vi spiegheranno quale emozione provano dopo avere cavato dal terreno il ciocco di quell’erica che è cresciuta insieme a loro.
2) Taglio del ciocco e bollitura dei pezzi in calderoni in rame. I segantini (tutti calabresi) tagliano il ciocco secondo procedure d’esperienza e misure impartite agli inizi del secolo scorso dagli inglesi. I segati vengono fatti bollire e dopo tre/quatto mesi sono commercializzati. La bollitura, un tempo avveniva solo dentro vasche realizzate in rame. Successivamente quasi tutti i segantini hanno optato, non si sa bene perché, per l’acciaio. Non vorrei dilungarmi troppo ma assicuro che c’è una gran differenza nel prodotto trattato: quello bollito nella caldaia in rame, ha un colore caldo, mielato (biancastro nell’acciaio) e anche l’odore e il gusto sono differenti. Poi è importante il cambio dell’acqua: non deve essere frequente, i pezzi vanno tirati fuori al momento giusto….Si comprende dunque che se il produttore ha un buon rapporto (non solo economico) con il segantino e gli spiega come vuole tagliata quella partita di ciocco, quanto tempo deve bollire (anche oltre 24 ore) in calderoni esclusivamente in rame e altro ancora, stiamo ponendo la base per un materiale che ha una storia quantomeno diversa da altri.
3) La stagionatura degli abbozzi. Dopo tre/quattro mesi dalla bollitura, il segantino commercializza il prodotto. Le fabbriche acquistano gli abbozzi e gli artigiani le placche fiammate. Alcuni “forzano” l’asciugatura in ambienti riscaldati prima o dopo la lavorazione delle “teste” di pipe (quante volte abbiamo visto bocchini che si allentano dal cannello?) Personalmente ritengo che solo una lunga stagionatura dell’abbozzo contribuisce a migliorare il rendimento del nostro lavorato (ce ne accorgiamo nella lavorazione: quello “fresco” fa un truciolo lungo quando viene forato ed è molto “tenero” alla carteggiatura quello lungamente stagionato è durissimo, picchiando due pezzi fra di loro si sente un suono quasi metallico, è durissimo sotto i dischi di carteggiatura e il truciolo si polverizza subito). Dunque, non 6 mesi o un anno ma molti di più, anche 10 o 15 di anni perché, assicuro per esperienza diretta, che la pipa è più buona, scalda meno, è più leggera “sa” meno di legno, “si fa” prima, fa meno acqua……Ovviamente ciò comporta un grande sacrificio (in termini economici) accumulare anno dopo anno segati di ciocco, scelti uno per uno e aspettare tanto tempo prima di decidere di lavorarli correndo il rischio, come avviene, di vederli bucati dai tarli ( è noto che il tarlo è un “buongustaio” predilige i legni pregiati e molto antichi). Dunque tanto tempo e buon clima per la stagionatura prima della lavorazione.
4) La lavorazione Non posso fare altro che parlare delle pipe fatte a mano in laboratori dove gli artigiani, da 1 a 5 o poco più contribuiscono con il loro operato dalla ideazione del modello alla realizzazione del prodotto: il foro del fornello con la giusta conicità e quello del cannello, con il suo diametro, alla base del fornello: il perno del bocchino in materiale antirottura e senza camera d’espansione nel cannello, il bocchino con il dental di giusto spessore. Una lavorazione senza fretta, rispettando i “suggerimenti” della venatura e lucidatura finale rigorosamente a carnauba per non occludere i pori del legno. Se poi è necessario il “carboncino” all’interno, questo viene fatto solo con un tipo di legno.
Ho provato a sintetizzare cosa c’è dietro ad una pipa. Inoltre, è da tenere presente che è corretto dire fumare la pipa piuttosto che fumare nella pipa. Esalta il gusto del tabacco e sollecita tutti i sensi, gustativo, olfattivo, visivo, tattile e quello dell’udito (il suono delle boccate) e se a questo si aggiunge quel “sapere” profuso nell’oggetto e la storia che ho provato a raccontare, allora può essere che un fumatore, più informato e impressionato per le elaborazioni a volte stravaganti che realizziamo, riesce a “leggere” anche quelle emozioni che hanno costruito quelle pipe elette a preferite magari spiegandolo a modo suo con un entusiasmo che non riesce a trattenere. E’ ovvio che tra fumare un avana e una mixtur di tabacco, vi è differenza, ma qualche “somiglianza” c’è, dunque provi a fumare un sigaro con qualche incrinatura nella fascia oppure con macchie di muffe oppure ancora provi a fumare ad occhi chiusi il suo preferito senza poterne apprezzare la forma, la manifattura, il contatto….. e le volute di fumo azzurrino. Spero di avere dato un contributo agli amici appassionati di degustazione del tabacco.
Cordialità Salvatore Amorelli
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